Quanta storia è passata nelle piazze di Palermo?
Quanti avvenimenti hanno inciso nell’evoluzione del suo corpo sociale e urbanistico?
Se solo si scorrono le principali pagine dei libri ci si rende conto che in piazza è maturata la decisione di mandare a casa gli angioini, sovrani di un regno i cui sudditi erano vessati da mille angherie.
Era il 1282 e la rivolta dei Vespri siciliani scoppiò sul sagrato di una chiesa fuori porta e dilagò in breve in tutta la Sicilia. Sempre in piazza avvenivano le esecuzioni capitali, ma anche gli atti di fede e i roghi del tribunale della Santa Inquisizione.
E in piazza facevano il loro ingresso re, imperatori e vescovi dopo essere incoronati per il primo bagno di folla. Ma la piazza non è solo il luogo di celebrazioni, feste, proteste e violenze, ma anche il luogo della derisione.
E se a Roma prende piede l’uso delle “pasquinate” per sbeffeggiare i potenti di turno, Palermo importa il nuovo costume e subito si adegua.
E sono le piazze i punti di riferimento principale, i luoghi del massimo scherno. Re, imperatori, nobili finiscono così nel tritacarne della massima derisione. Difficile per i potenti scovare gli autori delle rime improvvisate, talvolta veri componimenti poetici.
A Palermo non c’è una statua di “Pasquino” in cui appendere gli sfottò al potere, ma di statue ce ne sono a bizzeffe, da Carlo V imperatore e quelle dei Quattro Canti. Anche Palermo, dunque si concedeva il lusso tutto particolare di sbeffeggiare il potere, deriderlo, criticarlo. Così Palermo è un po’ Roma e si può andare in giro in città fra le piazze simbolo della derisione del potere con cartelli, rime baciate e alternate, frizzi e lazzi.
Per scoprire alla fine che, come dice il detto, “il Re è nudo”.
Palermitano, giornalista de “La Repubblica”, scrittore, esperto di botanica. Ha anche scritto “Arborea, la storia di Palermo in cento alberi illustri”, “Sicilia, Terra madre” e molti altri libri.