di Gaetano Basile
E’ la più lontana delle Egadi. Ed anche la più antica perché fu la prima ad allontanarsi dalla Sicilia.
Anzi dal territorio trapanese.
Ci sono tracce del paleolitico e del neolitico. La chiamarono Hiera, poi Maritima; l’arabo Edrisi la indicò come Malitimah. Se chiedete a uno del posto dove si trova, vi risponderà che “è a 37° 58’ Latitudine Nord e 12°4’ Longitudine Est”. Perché qui abita solo gente di mare. Parlano di miglia e mai di chilometri, di cime e non di corde. La folla è una “frotta” e la velocità si misura in nodi.
Per raggiungerla si solcano acque che sfumano dall’azzurro al celeste, dal verde fino al blu intenso. Dipende. Dalla stagione, dal vento, e anche dal vostro stato d’animo. O dai vostri occhi che debbono saper cogliere quello che queste acque celano dentro quei colori. Giù in fondo, seguendo con lo sguardo qualche delfino curioso.
Nel 241 a.C., proprio in queste acque delle Aegates, come si chiamavano allora le Egadi, il console Lutazio Càtulo, comandante della flotta romana, sconfisse i Cartaginesi ponendo fine alla prima guerra punica. I relitti di quelle navi, romane e puniche, stanno ancora in questi fondali, assieme ai resti di tante altre tragedie del mare.
Il traghetto accosta al modestissimo molo dello Scalo Nuovo, ma non se ne accorge quasi nessuno perché l’interesse è tutto rivolto al paesaggio che accoglie gli ospiti. A tutto ciò che sta davanti e che riserva il piacere della scoperta, del “jamais vu”.
Le case dei suoi abitanti, che arrivano appena a 700, sono allineate lungo la baia: linde e colorate. Come le loro barche che hanno un alto fregio a poppa che chiamano “campiuni”. Campione di che?…
Già arrivandoci nel periodo giusto, che è sempre aprile, maggio, o al massimo, giugno, si può vedere la pineta che si allunga fino al mare, ed essere accolti dal profumo intenso della resina e del rosmarino. Che con quello del mare finiscono per confondersi.
Marettimo è l’isola più selvaggia e più bella di tutte quelle che stanno attorno alla Sicilia. Per cogliere appieno tutto il suo fascino bisogna avere buone gambe e una barca.
C’è un sentiero ben tenuto che dal centro dell’abitato porta fino a Punta Troia. Percorrendolo a piccoli passi, senza fretta, si può ammirare una delle più belle macchie mediterranee, la “gariga”. C’è l’odore penetrante della ruta, quello dolciastro delle coronille, quello più delicato del rosmarino che si confonde, in certi punti, con quello del lentisco. I botanici hanno definito quest’isola un “biotopo” con 515 specie diverse. Tra queste ci sono alcuni endemismi, cioè delle specie che solo qui vivono. Piante che non esistono più, allo stato spontaneo, in nessuna altra parte del mondo.
Forse perché, nel quaternario, è stata la prima delle altre due Egadi a staccarsi dalla Sicilia.
Alla fine dell’impegno escursionistico si è premiati dalla visita al “Castello”.
E’ un inaccessibile nido d’aquila, una torre d’avvistamento d’epoca musulmana, ampliata da re Ruggero e poi castello adibito in periodo borbonico a carcere duro.
Vi fu rinchiuso nel 1803 il patriota Guglielmo Pepe. Era reo di aver difeso la Repubblica napoletana e combattuto a fianco di Napoleone e di Murat.
Più giù, all’ombra di un carrubo, c’è una delle numerose sorgenti dell’isola, conosciuta da sempre dai marinai di passaggio.
Gialle distese di euforbie, tappeti verde azzurro di rosmarino in fiore, il verde pallido delle epicrisi, i fiori rossi porpora dei lentischi, accompagnano fino alle “Case romane”. Che sono ciò che rimane di una solida costruzione del I secolo d.C. che serviva, forse, per ospitare un presidio militare.
Qui attorno i carrubi e i pini crescono accovacciati per difendersi dai venti. Sembrano cespugli.
Se si è fortunati è possibile incontrare cinghiali e mufloni. Che sono animali timidissimi e rifuggono dall’uomo. Sono stati introdotti nell’isola nei primi anni 70. Prima non c’erano mai stati. Mi hanno detto che è stata l’invenzione di un politico: forse la realizzazione di un suo sogno infantile. Un vero disastro per la piccola isola, perché sono animali che si trovano benissimo in questo ambiente e si riproducono con facilità non avendo predatori naturali. Tranne l’uomo. Che con il bracconaggio riesce a limitare i danni.
Se incontrate un muflone solitario è sicuramente un vecchio maschio.
Quando invecchiano e le forze li abbandonano, si allontanano dal branco e vanno a vivere da soli gironzolando dappertutto. Poi se ne vanno a morire in mezzo ai cespugli della macchia.
E’ necessario procurarsi una barca per fare il periplo dell’isola, che ha uno sviluppo costiero di soli diciannove chilometri. La superficie è di 12 kmq.
Per godere gli incanti di queste coste bisogna venirci a vela. Sono emozioni da non perdere. Le scogliere precipitano a picco nelle acque trasparenti, i fianchi boscosi tingono con il loro colore baie e calette di selvaggia bellezza le cui acque, d’incanto, diventano verde intenso. Si aprono decine di grotte marine, alcune solenni come cattedrali. Ce ne sono di piccole, da visitare entrandoci a nuoto, e di grandi come case. Si chiamano Tuono, Pipa, Perciata, Bombarda…
Lo “Scoglio del Cammello” monta la guardia alla omonima grotta.
Da Punta Troia fino a Punta Libeccio si innalzano pareti a strapiombo, pinnacoli e guglie di grandi suggestioni.
Ad accogliervi, se non li disturbate con il fastidio di un motore, ci saranno tanti gabbiani: grandi conoscitori dei venti, che staranno immobili sulle vostre teste per ore intere. O fino a quando li interesserete. Poi se ne andranno via con virate da jet o si esibiranno in acrobazie aeree per farvi piacere. Mentre godete di queste gioie vi racconteranno che fino ai primi anni Cinquanta non c’erano collegamenti regolari con Trapani e per raggiungerla si andava a remi o a vela, se il vento lo permetteva. Era un vero viaggio per mare d’altri tempi. Poiane e falchi pellegrini in volo sembrano confermarlo con le loro voci stridenti.
Ma c’è un uccello che è quasi un altro endemismo di Marettimo. Lo chiamano “Uccello delle tempeste”, ma per gli studiosi è “Hydrobates pelagicus melitensis”. Passa, praticamente, tutta la sua vita in mare, tenendosi dietro le onde per evitare di essere trascinato via dai venti. E’ l’unica varietà che vive in Mediterraneo, di solito a Malta, da cui il “melitensis” del nome scientifico.
Gli altri suoi simili hanno scelto di vivere sulle coste della Norvegia, Gran Bretagna e quelle atlantiche della Spagna.
Non è facile vederlo, perché a Marettimo ci viene soltanto per nidificare. E i suoi nidi sono profonde buche e caverne, praticamente inaccessibili. Si possono incontrare mentre si fanno cullare dal mare.
Il paesetto è pulito, come sono in genere i paesi di mare, con bar, ristoranti e trattorie dove ci si trova subito a proprio agio. I suoi abitanti, i “marettimari”, si possono incontrare, tutti quanti, alla messa della domenica e alla passeggiata sul corso. Sono, generalmente, tutti imparentati fra di loro, cordiali e con una grande voglia di attaccare bottone con chiunque venga “da fuori”. Soprattutto quando viene la primavera e si è conosciuto il lungo isolamento invernale.
Quasi duemila sono stati costretti a lasciare questo paradiso terrestre in cerca di una sopravvivenza meno ardua. Stanno quasi tutti a Monterey, in California, e vanno a pescare il salmone in Alaska. Non hanno dimenticato quest’isola e mantengono ancora solidi rapporti con chi è rimasto.
Si può mangiare rivolti al mare, oppure al paesaggio montano, che è curioso in questa isola fatta di rocce calcaree e dolomitiche. Non sono state aperte nuove strade e non ci sono costruzioni fuori dall’abitato. La vita è ancora scandita dai ritmi di sempre e un soggiorno assume un’autentica dimensione umana, riflettendo la filosofia esistenziale di chi è costretto a vivere in mezzo al mare.
I suoi abitanti sono fieri di quest’isola antica, ancora aspra e selvaggia.
Ma che è rimasta l’isola dei profumi. O forse l’ultima isola.
Gaetano Basile
Palermitano doc, è giornalista ed autore di testi teatrali, ma anche enogastronomo appassionato e narratore avvincente. Ha alle spalle un’intensa attività giornalistica televisiva come divulgatore di tutto ciò che è cultura siciliana.